5 cose che Elisabetta Foradori ha raccontato a Repubblica e di cui andiamo molto orgogliosi

5 cose che Elisabetta Foradori ha raccontato a Repubblica e di cui andiamo molto orgogliosi

È uscito pochi giorni fa un bellissimo ritratto di Elisabetta Foradori su Repubblica, firmato da Patrizia Capua. Non Repubblica Sapori ma sezione Economia & Finanza, e la notazione non è secondaria. Non servono presentazioni particolari per Elisabetta, grande donna del vino trentino ma soprattutto consolidato punto di riferimento per il vino italiano tutto. Produttrice, madre, femmina, Elisabetta Foradori è stimata e rispettata d piccoli e grandi e l’articolo “Elisabetta Foradori, la “custode della terra” del Teroldego” lascia intuire il perché.

Abbiamo enucleato 5 passaggi del testo che meritano particolare attenzione.

1) Determinazione. “Mio padre Roberto, nell’andarsene quando avevo dieci anni, mi disse: lascia stare, vendi tutto. Invece mia madre Gabriella ha tenuto e io ci sono letteralmente caduta dentro”: se oggi che ha 52 anni la figura della Foradori ha ormai un profilo ampiamente consolidato, è utile ricordare che tutto iniziò molti anni fa con una scomparsa prematura e col suggerimento di abbandonare l’agricoltura. Non fu certo facile la scelta materna di continuare e quella successiva di dedicarsi tenacemente al vino di qualità. Seguendo un percorso – umano e professionale – che ha portato alla realtà di oggi.

2) Famiglia. “A 21 anni Elisabetta Foradori ha sposato Rainer Zierock con cui ha avuto tre figli, Emilio 29 anni, Theo 27 e Myrtha 26, “sono andata a vivere in un maso in montagna e ho continuato a lavorare”. Joahnnes, 14 anni, è il frutto di una esperienza successiva. Lo sviluppo dell’azienda nasce dalla condivisione del suo progetto con loro, protagonisti del passaggio generazionale. Theo segue la comunicazione, Emilio lavora già da tre anni sulla produzione tra vigna e cantina, Myrtha è in Canada per studiare permacultura, un metodo agricolo senza chimica, diverso dalla biodinamica, molto adatto agli ortaggi, e tornerà a fine anno.” Un capo – la mamma – e un team di figli già in società e con ruoli definiti: la gestione del passaggio generazionale – tema caldo nel “giovane” mondo del vino italiano di altissima qualità – sembra già a buon punto e con basi solide. Condivisione dei valori e meeting frequenti di carattere organizzativo-commerciale sono il pilastro di un’alleanza consolidata e serenamente consapevole di rivestire un ruolo importante per il Trentino enoico.

3) Biodinamica. “Con il vino come principale reddito, l’azienda Foradori ispirata agli insegnamenti di Rudolf Steiner, il teorico della biodinamica, fa leva sul principio dell’agricoltura autogestita. Con un fatturato di due milioni di euro, l’attività entra dopo 35 anni in quella che l’imprenditrice trentina definisce ‘la fase tre’, cioè l’esigenza di andare oltre il vino biodinamico e di allargare gli orizzonti.” La scelta di adottare pratiche biodinamiche e un pensiero lungimirante sulle pratiche agricole è ormai da anni parte integrante del bagaglio distintivo all’azienda Foradori. Terreno di sperimentazioni, indagini, errori e ripensamenti ma cuore pulsante di una scelta forte e matura che, gradualmente, mira a comprendere anche l’orto e la trasformazione del latte da mucche grigio alpine in formaggio. Una visione globale del saper fare agricolo in cui Elisabetta sta dimostrando visione e progettualità decisamente fuori dal comune.

4) La cooperazione locale. “Nel 2010 Elisabetta ha fondato assieme a dieci vignaioli trentini il consorzio ‘I Dolomitici’. “Mi sto impegnano perché tanti ragazzi che hanno un ettaro, un ettaro e mezzo e oggi vendono l’uva alle cooperative, si interessino, capiscano che c’è una via diversa da quella chimica, comincino a cambiare anche nelle loro aziende, nascano progetti comuni. È un aiuto per loro e per noi è un continuo divenire”.” Dalla condivisione del Manifesto nasce un vino, il Ciso, che prende il nome da Narciso, il contadino che ha consegnato ai Dolomitici la vigna di oltre 100 anni di lambrusco a foglia frastagliata composta da oltre 700 ceppi franchi di piede e così intimamente legata al territorio trentino. Un progetto in divenire, oggi presieduto dal giovane Giuseppe Pedrotti (az. Gino Pedrotti) dopo 6 anni di Foradori.

5) Orgoglio contadino. “È solo attraverso una coscienza collettiva di valore del prodotto, partendo dal basso, che potremo salvare la terra. Penso ai mercati contadini, alla consegna delle verdure a casa, ai progetti che in Italia sono all’inizio, di community social agricolture, molto diffusi in Stati Uniti e in Europa”. Fosse chiusa nel recinto di casa, sarebbe una grande imprenditrice agricola ma non sarebbe Elisabetta Foradori. L’uno e i molti devono collaborare per un progresso sostenibile e le buone pratiche individuali hanno impatto reale solo quando diventano patrimonio condiviso. In agricoltura come nelle relazioni. E in questo, per noi, Elisabetta Foradori è un grandissimo esempio.

Prosit, amica trentina!

[Foto cover: Intravino]

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