Artù e il cavatappi nella boccia. (L'intro del catalogo Caves #12)

Artù e il cavatappi nella boccia. (L'intro del catalogo Caves #12)

Quella che segue è l'introduzione al nostro nuovo catalogo. Uscito solo da poche settimane, è l'edizione numero 12 e abbiamo lasciato che a scrivere la storia introduttiva fosse Diletta Sereni. La troviamo bellissima e ci piace condividerla con piacere. Dietro alla fiction chissà che non ci sia anche del vero. Le illustrazioni che trovate poi nel volume saranno come sempre di Gianluca Cannizzo.

 

Questa storia è ambientata nel glorioso decennio nono del secolo mille e novecento, nel nobile paese dove tutti gli umani maschi sono allenatori del gioco del calcio e tutte le umane mamme sono il miglior ristorante al mondo. In quell’epoca, il canone enologico accoglieva con entusiasmo l’invenzione dei vinoni.

Il fenomeno destava grande eccitazione in stretti circoli monotematici e beata indifferenza nel resto del popolo, che soleva intrattenersi in altre attività ricreative, come il lancio delle monetine contro politici decaduti. Ma se è vero che a scrivere la Storia sono i vincitori nella gara dei nerd, eccoci tornare sul fatto dei vinoni, la cui ascesa fu voluta dalla Confraternita dei Degustatori Tassonomici, setta piccola ma tenace, che da tale ascesa trasse potere e incalcolabili bevute a sbafo. La Confraternita mirava a impossessarsi di tutte le collezioni di vini del nobile paese, per sottoporle al Dogma Tassonomico e riservarle alle bevute degli esperti, cioè nello specifico loro stessi. La più grande e leggendaria di queste collezioni era custodita nella villa del Duca Pendrago che, riluttante al Dogma e ai vinoni, resisteva a cederne il controllo alla Confraternita. Anche per questo il Duca cercava di campare il più possibile, ma infine cedette all’hobby preferito dalle persone molto anziane: passare a miglior vita.

Nessun testamento venne ritrovato, eccetto un messaggio. Era inciso su un cavatappi incastrato in una bottiglia. Recitava: «Chi riuscirà a stappare questa boccia, avrà in eredità la collezione, con gli onori e gli oneri che essa comporta». Restano ignote le sue motivazioni o se cercasse qualcuno in particolare. Di certo il vecchio sapeva che un simile espediente avrebbe generato quantomeno un buon aneddoto.

Venne dunque indetto a Villa Pendrago un grande ricevimento per stanare il predestinato. La Confraternita dei Degustatori Tassonomici chiamò a raccolta membri da ogni angolo del paese, nella speranza che l’erede si celasse tra i suoi ranghi. Stuoli di Degustatori accorsero, erano pettinati col tipico caschetto quadrato, segno di adesione al Dogma, e recavano un vinone come omaggio. Tutti tentarono l’eroico stappo, e tutti senza successo. Il cavatappi restava stoicamente piantato nella boccia.
 

Mentre teneva banco la gara di abilità più umiliante della storia, nelle cucine venivano lavati alacremente i bicchieri, per soddisfare il feticismo dei Degustatori di avere un calice nuovo per ogni millimetrico assaggio. Nelle schiere dei lavabicchieri compariva tale Anna, ventenne dinoccolata e scontrosa, ex esponente di spicco della corrente grunge del suo liceo, costretta a lavare i bicchieri per pagarsi il debito di una scommessa persa: aveva puntato tutti i suoi risparmi sul fatto che Kurt Cobain sarebbe arrivato a trent’anni. Dotata di incredibile lentezza nell’arte del lavaggio, fu ben presto rimossa dal compito per ottenerne un altro: recuperare i cavatappi sparsi negli anfratti più improbabili della sfarzosa magione. Anna si avviò col passo strascicato e l’espressione svogliata prescritte a ogni esemplare della corrente grunge, e si mise a raccogliere cavatappi, mentre la folla di Degustatori celebrava il rito pagano della degustazione perenne. Anna origliava le conversazioni impantanate sui cavilli organolettici con curiosità più che altro antropologica, e senza farci caso si ritrovò davanti al cavatappi nella boccia.

«Questo si è addormentato a metà dell’opera», pensò. Avvolse le mani intorno al cavatappi e fece per tirarlo via. Un Degustatore si accorse dell’illecito tentativo della ragazza e le puntò il dito contro. Qualche drappello di Degustatori fece appena in tempo a voltarsi verso l’inesorabile accadere degli eventi quando tutti udirono un clamoroso “Bop!”.

La bottiglia si era stappata, senza sforzo, senza inganno. Il silenzio che seguì si poteva tagliare con l’accetta ma durò poco perché fu riempito dal brusio di sdegno dei Degustatori: una ragazza, una profana… è inaccettabile. Presto sbucò dai ranghi il Presidente della Confraternita dei Degustatori Tassonomici e afferrò Anna per un braccio. «Signorina», esordì, «la aspetta un compito più grande di lei. Chiaramente non può comprenderlo adesso, ma noi sapremo guidarla». Anna rispose: «Signorino lei, no grazie», divincolandosi dalla presa. Altri Degustatori la accerchiarono: «Non puoi sottrarti alla Sacra Tassonomia!», «Ignorantella, devi solo esser grata della forza tassonomica che ti infonderemo».

Anna stava per essere avvolta dalle ombre della Confraternita, quando un urlo sbucò dal fondo della folla: «Chi ha osato abbinà un Supertuscan co le capesante?». L’urlo produsse nei Degustatori un raccapriccio tale da immobilizzarli in preda ai brividi, il tempo necessario perché una figura massiccia e rapidissima potesse sfilare Anna dalla morsa e sparire con lei dietro a una porta nascosta nel muro.

La figura massiccia guidò Anna attraverso rampe di scale anguste che scendevano verso spazi più scuri e più umidi: le cantine della villa. Finite le scale, i due si presentarono.
«Come ti chiami?»
«Anna».
«Anna come?»
«Anna Artù».
«Piacere, sò Er Mago».
Er Mago era il giardiniere di Villa Pendrago, l’unico oltre al Duca a conoscere i passaggi segreti per le cantine. Il soprannome se l’era guadagnato nella sua precedente vita da paninaro, abbandonata una volta scopertosi dotato di pollice verde; altrimenti detta crisi di mezza età.

 

Er Mago accese una luce fioca e Anna realizzò che erano circondati da bottiglie, su ogni lato e a perdita d’occhio. «Cara Anna – cominciò Er Mago – questo accollo è toccato a te, d’ora in poi devi esse tu la custode de ‘sti vini». Anna lo guardava. Di tutte le domande che voleva fare, le uscì questa: «Perché io? Non so niente di vino». «Questo cara Anna lo dovemo chiede al nostro caro principale, anche noto come Il Fato, però ‘na cosa te la vojo dì: sapé de non sapé è meglio che esse convinti dee cose sbajate».

«E se io rinunciassi?»

«Cara Anna, puoi rinunciare, certo. Però è colpa tua se poi vince il Dogma.»

«Il vino è per noiosi e saccenti, non mi interessa».
«Vedi Anna, proprio questo è ‘l problema del vino, che lo raccontamo male. Mo, se me permetti, te spiego io du cose che te fanno comodo.»


Quel che seguì fu il celebre Prolisso Spiegone d’Er Mago, che le testimonianze successive, più o meno apocrife, ricostruirono nella seguente forma:

«La prima cosa da sapé è che ‘l vino nun dev’esse trattato come ‘na cosa pe fà a gara a chi ne sa de più. Nun c’è da dissezionallo come corpo morto, anche perché così m’ammazzi la conversazio’. Il vino è ‘na cosa allegra, non dev’esse fonte de reverenza e per questo va sarvato dala superbia tassonomica. Se è fatto con amore, come sò fatti i vini che stanno qua dentro, bisogna accoglieli dentro de sé e lasciasse trasportà. Dentro i vini ce sta le storie: di chi l’ha fatti e ‘n pò anche de chi li beve. E che semo noi se non ‘n ammasso confuso de storie?

La seconda cosa che te vojo dì è che ‘l vino va bene invecchiallo ma non c’avé il feticismo dell’annata, dell’etichetta… Ce sta gente che ce gode solo a possedé l’etichetta, senza beve il vino! Il vino va bevuto e no in stretti circoli, insieme a tutti, anche a quelli che pensano che non je piace. Che semo noi se non condividemo le cose belle coll’altri?

Terza cosa: pe capì il vino, pe godenne, nun perde tempo co le guide che ogni anno te dicono che bisogna beve e pure coi punti de fianco. Nun perde tempo col Dogma che te propone sempre lo stesso vinone che je fa comodo. Bisogna riscoprì la semplicità, l’essenzialità. Piuttosto prendi scarpe comode e va’ pe le vigne, va’ a guardà ‘n faccia li produttori, ascoltali, bevi co loro, viaggia! Che semo noi se non viaggiatori in cerca del prossimo bar?»

«Quest’ultima non so se l’ho capita», disse Anna.
«Vabbè, tu pensace» rispose Er Mago. «Ma insomma, te lo piji ‘sto accollo?»

«Er Mago, non so che dire…».

Restarono in silenzio qualche minuto.
Infine Anna: «Ma quindi… io dovrei difendere il vino dalle mode e dal potere, tornare al semplice e aprirlo alla gente?»

«Braaaaava!».

«In fondo non è così diverso dal grunge…»

«Mo nun t’allargà».

«Vabbè dai, ci sto! Proviamo a salvare la baracca».
Er Mago, sollevato, finalmente sorrise. Prese Anna Artù sottobraccio e insieme si avviarono per i corridoi scuri, verso il passaggio segreto e il mondo di sopra. «Annamo a caccià l’armata dei caschetti, va’».

Quel che seguì non fu una battaglia. Ai Degustatori venne prospettata una cena di abbinamenti non prescritti dal Dogma ed essi scapparono via lontano. Anna venne nominata Gran Maestra di Villa Pendrago e iniziò il suo percorso di conoscenza del vino e di governo della collezione. Da allora, ogni settimana, la villa aprì le sue porte alla gente, ci furono pranzi, cene e feste. Molti vini furono stappati, nessun tappo si incastrò più. Anna viaggiò molto per acquisire nuovi vini e si guadagnò il rispetto di tutti, persino di qualche Degustatore che prese a frequentare la villa e si abituò a condividere le bottiglie coi profani. Altri invece preferirono restare fedeli al Dogma. La Confraternita perse potere con gli anni, anche se non si sciolse mai del tutto. I vinoni passarono di moda. Er Mago continuò a dedicarsi al giardinaggio ma con l’avanzare dell’età si appassionò all’arte della falegnameria.

La sua opera più riuscita fu una tavola rotonda.

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