Iuli, il Monferrato che amiamo

Iuli, il Monferrato che amiamo

Cantina Iuli è una piccola cooperativa biologica che nasce nel 1998 a Montaldo di Cerrina, in provincia di Alessandria.
Un triangolo di province per un triangolo di vitigni, quei Barbera, Nebbiolo e Pinot Nero da cui nascono i vini che abbiamo in catalogo: l’ Umberta ; il Rossore ; la Barabba ; il Malidea.

Abbiamo chiesto a Fabrizio Iuli di raccontarci il suo percorso di vignaiolo e le idee che guidano il suo lavoro.

Vuoi raccontarci la tua storia di produttore di vino?
La scelta è stata, da principio, quasi casuale: io in realtà ho fatto la scuola d’arte per diventare orefice. Ma mio padre era agricoltore: da una vigna che aveva piantato mio nonno tra il 1930 e il 1935, ricavava qualche bottiglia di un “vino della casa”, che vendevamo al ristorante guidato da mia madre. Il classico vino del contadino, rustico, che alla fine però aveva molto più da dire di tanti prodotti più “pettinati”. Ogni tanto lavoravo anche io al ristorante non puoi esimerti, quando è un’attività di famiglia e da lì ho iniziato a
interessarmi. Non vi dico la gioia di mio padre quando gli ho detto che avrei preso in mano la vigna.

Descrivici il tuo territorio e il luogo dove sorgono le tue vigne.
Questa è la punta della provincia di Alessandria che guarda a Nord, verso Torino. Siamo quelli che hanno sofferto di più l’esodo verso la FIAT. Negli anni Sessanta quattro annate consecutive di grandine hanno fatto allontanare le persone dalla terra: nessuno era contento di andarsene da questa campagna, ma alla fine vai sempre dove puoi mangiare. Del mio terreno posso dire che è equamente conteso tra zanzare e cinghiali: è un luogo bellissimo e selvaggio, in fiore per buona parte dell’anno: grano, girasoli, mais, ciliegi, castagni, acacie. Entrando più sul tecnico, il terreno ha vene acide e salate che conferiscono verticalità ai vini.

Foto: Sorgente del vino

Foto: Sorgente del vino

Qual è la filosofia dietro il tuo lavoro?
La mia famiglia mi ha abituato a fare il vino in un certo modo, e io non faccio niente di diverso da quello che mi hanno insegnato. Oggi c’è molta attenzione verso chi produce biologico e biodinamico (perfino troppa, e per ragioni di mercato) ma 40 anni fa a farlo così erano solo i contadini come mio padre e mio nonno o gli hippie e
di entrambi si pensava che fossero degli stupidi… Sono convinto che, come agricoltori, i contadini di allora fossero più bravi di noi oggi. Dalla nostra noi abbiamo una diversa consapevolezza del valore del nostro lavoro, mentre all’epoca il vino era considerato solo un semplice alimento.

Come sono i tuoi vini?
Per ora coltivo Barbiera, Nebbiolo e Pinot Nero. In futuro vorrei aggiungere anche due vitigni autoctoni poco conosciuti, la Slarina e il Baratuciat, nell’ambito di un progetto sperimentale dell’Università di Torino per recuperare le antiche varietà. Quelli che vorrei fare sono tendenzialmente vini bevibili ed equilibrati. Per me rimane quella la caratteristica più importante, forse perché parto dalla ristorazione: devono essere eleganti e freschi, e soprattutto non devono rimanere nel bicchiere.

Come immagini la tua cantina tra dieci anni?
Tra questo e il prossimo anno pianterò 6 ettari di vigna. Ho sempre pensato che a 50 anni avrei non dico rallentato, ma mantenuto un ritmo tranquillo, ma ora ho due figli piccoli e desidero lasciar loro un po’ di vigna. Ovviamente, la mia speranza è che almeno uno di loro vorrà continuare questo lavoro. In caso contrario, pazienza: potranno venderla.

Nella tua esperienza, in che direzione sta andando il mondo del vino, anche nel senso
del mercato?

Ricordo quando, fino a una decina di anni fa, in tanti mi dicevano che i miei vini erano troppo freschi, che avevano bisogno di più morbidezza. Mi sono sempre rifiutato. Ho voluto fare vini che piacessero a me prima di tutto, ma ora riscontro un avvicinamento alla direzione che è sempre stata la mia. I consumatori sono molto più consapevoli. Gli ubriaconi esistono ancora e ci saranno sempre (non che noi non ci ubriachiamo, eh?!) ma
vedo giovani sempre più attenti e informati, che bevono bene.

Cosa c’è di così bello nel vino?
La cosa più bella è la convivialità. Il vino abbatte le barriere e ti mette relazione con gli altri,
mi spingerei a dire che questa è la sua caratteristica più importante. La bottiglia migliore è quella che apri quando qualcuno viene a trovarti.

Qual è il vino a cui sei più affezionato?
Il vino più semplice, l’ Umberta : una Barbera base che rappresenta la nostra azienda nel suo essere un vino fruibile, accessibile, economico. E poi il Barabba, dalla vigna che ha piantato mio nonno, dove ho fatto le vendemmie quando ero bambino.

Sara Porro

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