Quando mai una scheda tecnica risulta emozionante?
Raro, rarissimo.
Nella stragrande maggiornaza dei casi è solo una lista di dati "freddi": vigna, suoli, metodo di allevamento, esposizione, tempismo di raccolta e vinificazione, operazioni di cantina, materiali di affinamento e quant'altro.
Ci sta che sia così.
Poi ci sono le eccezioni.
E in questo Pian dell'Orino è un caso emblematico. Non unico ma poco ci manca.
Basta conoscere Jan Erbach, tedesco, agronomo ed enologo che a Pian dell'Orino arrivò a fine anni Novanta trovando lavoro e amore insieme a Caroline Pobitzer.
Metodico, maniacale, meticoloso fino all'inverosimile, chirurgico nelle operazioni e nell'attenzione ai dettagli, Jan è l'esatta antitesi del vinificatore a braccia conserte ma anche lontanissimo dalla figura dell'enologo interventista protocollare.
Osservare, studiare, conoscere tutto, approfondire ogni aspetto, entrare in simbiosi con qualsiasi reazione causa-effetto che ha a che fare con vigna e cantina.
C'è qualcosa di intimamente affascinante in questa fusione tra il produttore di vino e la sua "creazione": che parte da un "semplice" frutto per diventare materia liquida con decenni di permanenza in bottiglia.
Chi non sottoscriverebbe quello che per Pian dell'Orino è un credo?
“In una viticoltura sana ed equilibrata la terra ci parla, ci chiede e ci racconta, basta saperla ascoltare o meglio, leggere; il vino si fa a questo modo, devi conoscere il tuo terreno, le tue vigne, l’ambiente in cui crescono e qui devi sapere dove e come poter e non poter mettere le mani; il resto, la cantina, c’entra tanto o poco a seconda di che uva ci porti dentro, il tempo poi ti dirà dove puoi arrivare con i tuoi vini, a te basta saggiarli e decidere”.
Le schede tecniche, dicevamo.
Che c'entrano in tutto questo?
Presto detto: per capirlo basta prendere in mano quella di Piandorino 2021, ultima annata d'ingresso di quello che per Caroline e Jan è il vino "d'ingresso" e che per il 99,99% delle cantine mondiali potrebbe essere il vino di punta. |